Ricorre la regione Calabria, in persona del presidente della giunta regionale, on. Guido Rhodio, in forza di delibera 27 settembre 1993, n. 3351 della giunta regionale immediatamente esecutiva, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del presente atto, dall'avv. Federico Sorrentino e nel suo studio di Roma, Lungotevere delle Navi, 30, elettivamente domiciliato, contro lo Stato e per esso il Presidente del Consiglio dei Ministri, per la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale del d.l. 17 settembre 1993, n. 363, recante "Disciplina della proroga degli organi amministrativi", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 220 del 18 settembre 1993. F A T T O 1. - Con la sentenza 4 maggio 1992, n. 208, la Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale di una norma di legge regionale che prevede la "decadenza" dei comitati regionali di controllo non rinnovati entro 60 giorni dalla loro scadenza, affermava importanti e, sotto certi aspetti, innovativi principi in materia di prorogatio di organi amministrativi. In particolare, esclusa l'esistenza di norme dalle quali possa trarsi la generalita' di tale istituto, essa concludeva che "ogni proroga, in virtu' dei principi desumibili dal citato art. 97 della Costituzione, puo' aversi soltanto se prevista espressamente dalla legge e nei limiti da questa indicati". "Un'organizzazione caratterizzata da un abituale ricorso alla prorogatio - proseguiva la Corte - sarebbe difatti ben lontana dal modello costituzionale. Se e' previsto per legge che gli organi amministrativi abbiano una certa durata e che quindi la loro competenza sia temporalmente circoscritta, un'eventuale prorogatio di fatto sine die - demandando all'arbitrio di chi debba provvedere alla sostituzione di determinarne la durata pur prevista a termine dal legislatore ordinario - violerebbe il principio della riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa, nonche' quelli dell'imparzialita' e del buon andamento". Escluso, quindi, che alla prorogatio possa atribuirsi valenza di "principio di carattere generale", il Governo - non ritenendo sufficiente lo strumento legislativo ordinario - decideva di provvedere conformemente ai suggerimenti della Corte ed a tal fine adottava una lunga serie di decreti-legge (nn. 381 e 439 del 1992, 7, 69, 150, 239 e 363 del 1993): i primi sei decaduti e l'ultimo oggetto del presente giudizio. In tutti e sette i provvedimenti viene dichiarata la perentorieta' della scadenza legislativamente fissata degli organi amministrativi dello Stato e degli enti pubblici (esclusi quelli elettivi e quelli a rilevanza costituzionale), stabilendosi peraltro un periodo di proroga non superiore a 45 giorni durante i quali gli organi scaduti possono adottare soltanto gli atti di ordinaria amministrazione e quelli urgenti e indifferibili. Si prevede, infine, che, allorche' la competenza alla ricostituzione spetti ad organi collegiali, questa venga trasferita al Presidente del collegio, qualora essa non sia stata esercitata sino a tre giorni prima del suddetto periodo di proroga. Relativamente alle nomine di competenza delle regioni e delle province autonome di trento e di Bolzano i primi tre decreti legge (poi decaduti), all'art. 9, stabilivano che "entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le regioni a statuto ordinario, nonche' le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle disposizioni del presente decreto". Tale formulazione lasciava intendere un dovere di adeguamento da parte degli ordinamenti regionali a tutte le disposizioni del decreto legge ed intanto la loro immediata vincolativita' in violazione della competenza legislativa e statutaria delle regioni interessate. Pur avendo almeno in parte recepito, nella formulazione dell'art. 9, le osservazioni critiche rivolte dalle regioni, neanche il successivo d.l. n. 69/1993 si sottraeva del tutto alle censure di invasione della competenza regionale: sotto la rubrica "Adeguamento della normativa regionale", l'indicato articolo stabiliva, al primo comma, che "entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le regioni a statuto ordinario regolano le materie disciplinate dal decreto stesso nel rispetto dei principi fondamentali posti dalle disposizioni in esso contenute. Tali disposizioni operano direttamente nei riguardi delle regioni fino a quando esse non abbiano legiferato in materia". Sicche' la regione Calabria, che gia' aveva impugnato sotto diversi profili il d.l. n. 7/1993 con ricorso discusso dinanzi a codesta ecc.ma Corte all'udienza dello scorso 25 maggio, egualmente impugnava il d.l. n. 69/1993. Anche il ricorso relativo a questa seconda impugnativa e' gia' stato discusso, nella camera di consiglio del 7 luglio, e, con ordinanza n. 331/1993, la Corte ne ha dichiarato la manifesta inammissibilita' per mancata conversione nei termini del decreto-legge. Infine tutti i decreti legge successivi al primo, tra le norme finali e transitorie, hanno inserito una disposizione secondo la quale "restano confermati gli atti di ricostituzione di organi scaduti anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, che siano stati adottati, in sostituzione degli organi collegiali competenti, dai rispettivi presidenti, in conformita' alle disposizioni vigenti alla data di compimento degli atti stessi" (cioe': in conformita' alle disposizioni dei decreti-legge decaduti). 2. - Decaduto dunque il precedente per mancata conversione nei termini, il Governo ha emesso altri tre decreti di eguale contenuto, il 150 ed il 239 del 1993, contro i quali pure ha proposto ricorso la regione Calabria, ed il 363/1993, che viene con il presente atto impugnato; tali tre ultimi provvedimenti, riproducendo quasi negli stessi sostanziali termini i precedenti, se ne discostano ancora una volta per la parte relativa all'adeguamento della normativa regionale alle disposizioni da essi recate. Stabilisce, infatti, l'art. 9 al primo comma, che "Le disposizioni di cui al presente decreto operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario fino a quando esse non avranno adeguato i rispettivi ordinamenti ai principi generali ivi contenuti". Prescindendo dal discutibile riferimento ai "principi generali" contenuti nel decreto, tale articolo, pur formulato in materia parzialmente differente rispetto al corrispondente articolo dei precedenti decreti, se per un verso, come gia' si osservava relativamente al quarto d.l., attenua l'impatto sul sistema regionale delle nuove disposizioni legislative, non elimina tuttavia la lesione della competenza regionale denunciata con i precedenti ricorsi; sicche' la regione Calabria, richiamando le considerazioni gia' svolte nei confronti dei d.d.l.l. nn. 150 e 239 del 1993, il cui testo e' stato integralmente riprodotto dal provvedimento che ora si impugna, deve ancora rivolgersi all'ecc.ma Corte per denunciare l'illegittimita' del d.l. 17 settembre 1993, n. 363, sotto i seguenti profili di D I R I T T O Violazione degli artt. 117, 118, 122 e 123, anche in riferimento all'art. 77 ultimo comma della Costituzione. Invasione della competenza regionale. 3. - Preliminarmente deve sottolinearsi che la regione ricorrente, ancor prima che il Governo intervenisse con i decreti legge di cui in narrativa a precisare e a specificare i principi costituzionali richiamati dalla Corte, ha adottato una propria disciplina, passata indenne al controllo governativo, del fenomeno della prorogatio, con l.r. 5 agosto 1992, n. 13, recante "Disciplina delle nomine di competenza della regione" (B.U.R. 10 agosto 1992, n. 104). L'art. 8 di questa legge, in particolare, stabilisce, al primo comma, che "tutte le nomine e le designazioni di competenza della regione cessano con la scadenza della legislatura nel corso della quale si e' proceduto alle nomine o alle designazioni e sono rinnovabili per una sola volta"; al secondo comma dispone che, "trascorsi novanta giorni dall'insediamento del consiglio regionale neo eletto, le persone nom- inate o designate negli organismi indicati nell'art. 1 (organi regionali, enti dipendenti dalla regione, USL, eccettuati gli organi elettivi e i pubblici dipendenti) non possono continuare ad esercitare la funzione istituzionale e, nel caso in cui il Consiglio regionale non effetui le nomine o le designazioni entro il predetto termine ai sensi dell'art. 5 della presente legge (che disciplina il relativo procedimento), provvede la giunta regionale ai sensi dell'art. 28 dello statuto" (cioe' in via d'urgenza e con obbligo di ratifica entro trenta giorni). La legge regionale, dunque, per un verso, e' rispettosa dell'art. 97 della Costituzione sotto i profili indicati dalla sentenza n. 208/1992 della Corte: esclude la proroga di fatto a tempo indeterminato e provvede a interventi sostitutivi e di urgenza in caso di inadempimento dell'organo competente (il Consiglio regionale); per altro verso essa anticipa medianta' il sopra descritto meccanismo le disposizioni dei decreti legge adottati dal Governo. Di qui la conclusione che il decreto oggi impugnato, che obbliga le regioni ad adeguare i propri ordinamenti ai "principi generali" da esso posti, non dovrebbe incidere sull'art. 8 della l.r. n. 13/1992, il quale contiene disposizioni di dettaglio, bensi' diverse, ma sicuramente rispettose dei medesimi principi. Invero, fermo restando il rispetto dell'art. 97 della Costituzione, i decreti governativi stabiliscono: la cessazione delle funzioni con la scadenza del mandato; la previsione di un periodo massimo di proroga di 45 giorni; la sostituzione da parte del Presidente del Collegio nei confronti del collegio inadempiente. Queste disposizioni corrispondono ad un principio fondamentale che vuole la cessazione delle funzioni dell'organo alla sua scadenza naturale e prevede meccanismi sostitutivi rigidamente articolarti in caso di inerzia dell'organo competente alla ricostituzione. Non par dubbio quindi che la legge regionale n. 13/1992 sia coerente con i principi enunciati dal d.l. n. 363/1993, e che la diretta operativita' delle disposizioni di cui al decreto stesso, non abbia modo di esplicarsi nei riguardi della regione Calabria per quanto gia' da questa disciplinato, mentre le altre disposizioni del d.l. relative al regime degli atti ed alla responsabilita' per mancata ricostituzione nei termini, potranno valere anche per la regione ricorrente come riferimento per i principi fondamentali della materia. Qualora pero' il primo comma dell'art. 9 non dovesse essere inteso nel senso che i "principi" cui le regioni a statuto ordinario sono tenute ad adeguare i rispettivi ordinamenti, ed in quanto non vi abbiano gia' provveduto, siano solo quelli, gia' esistenti, da ricavarsi dall'art. 97 della Costituzione, secondo le indicazioni della Corte (cio' che sembrerebbe essere confermato dal riferimento ai principi "generali" anziche' fondamentali del d.l. in questione), bensi' come abrogativo della disciplina regionale gia' adottata e i meccanismi di ricostituzione degli organi scaduti direttamente applicabili alla regione, non puo' che dedursene l'incostituzionalita' per le ragioni accennate in rubrica. 4. - Per tale ipotesi viene immediatamente in considerazione il secondo comma dell'art. 4, a termini del quale "Nei casi in cui i titolari della competenza alla ricostituzione siano organi collegiali e questi non procedano alle nomine o designazioni ad essi spetanti almeno tre giorni prima della scadenza del termine di proroga, la relativa competenza e' trasferita ai rispettivi presidenti, i quali debbono comunque esercitarla entro la scadenza del termine medesimo". Questa disposizione viola tanto la competenza regionale in materia di "ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalle regioni" (art. 117) quanto la competenza statutaria delle regioni di diritto comune (art. 123), incidendo essa sulle norme legislative e statutarie che assegnano competenze ad organi collegiali. La disposizione impugnata, invero, crea una competenza nuova in capo ai presidenti di organi collegiali, sottraendo ai collegi stessi i corrispondenti poteri. Ed e' evidente che una statuizione siffatta potrebbe provenire, per gli uffici e gli enti dipendenti dalla regione e per gli stessi organi regionali, dalla legge o dallo statuto regionale. Di piu' la disposizione in esame viola, insieme con la potesta' statutaria delle regioni, gli artt. 121 e 122 della Costituzione, allorche' essa venga riferita a nomine di competenza del consiglio regionale. Infatti, secondo la norma costituzionale, il presidente del consiglio regionale non ha una posizione per cosi' dire autonoma dal consiglio stesso dal quale e' eletto per dirigerne i lavori (122, terzo comma) ne', a differenza del consiglio, della giunta e del suo presidente (art. 121, primo comma), possiede una propria ed autonoma rilevanza esterna. Naturalmente cio' potrebbe non escludere che al presidente del consiglio regionale vengano conferite funzioni di rilevanza esterna, purche' non incompatibili con il suo compito di direzione dei lavori del consiglio, ma tale attribuzione, innovando specificamente all'organizzazione regionale, non puo' che competere alla fonte statutaria (art. 123) e, sulla base di questa, al regolamento consiliare. Ne discende allora l'incostituzionalita', in riferimento ai citati parametri, di una norma statale che trasferisce una competenza attribuita al consiglio regionale al suo presidente e che fa di questo un organo titolare di poteri amministrativi esterni. 5. - Ugualmente sulla competenza delle regioni in materia di organizzazione dei loro uffici e degli enti da esse dipendenti incidono le disposizioni relative al regime di proroga degli organi amministrativi scaduti e degli atti da questi emanati (art. 3). Tali disposizioni, limitando la competenza degli organi prorogati e sanzionando come illegittimi gli atti posti in essere al di fuori dei limiti da esse indicati, incidono sulla competenza regionale in materia, in violazione quindi dell'art. 117 della Costituzione. Tale censura va estesa al successivo art. 6 che sancisce la nullita' di diritto degli atti compiuti dagli organi scaduti. 6. - Da ultimo deve denunciarsi l'art. 8 del decreto impugnato, nella parte in cui convalida e mantiene fermi gli atti di ricostituzione adottati dai presidenti di organi collegiali, anteriormente all'entrata in vigore del decreto, in sostituzione dei competenti collegi (secondo comma). Questa disposizione viola, non solo l'art. 77, ultimo comma, della costituzione, in relazione anche all'art. 15, secondo comma, lett. d) della legge n. 400/1988, ma anche, ed inscindibilmente, le competenze regionali in materia di organizzazione di uffici ed enti regionali. Invero, ove anche dovesse sostenersi che il d.l. impugnato possa comprimere, nei sensi che si sono appena contestati, le competenze regionali in materia, esso sicuramente non puo' convalidare cio' che in base alla costituzione e' invalido e quindi non puo' sottrarre al legislatore ne' all'amministrazione regionale il potere di qualificare come invalidi atti applicativi di decreti-legge non convertiti. In altre parole la disposizione impugnata non solo incide sulla potesta' legislativa regionale e su quella statutaria al di la' di quanto consentirebero gli artt. 117 e 123, ma incide altresi' sulla competenza degli organi collegiali, ai quali sarebbe cosi' impedito di revocare gli ellegittimi atti dei loro presidenti e di provvedere diversamente in ordine agli organi scaduti. Va poi aggiunto che la convalida degli atti compiuti sotto il vigore dei precedenti decreti, i quali, a differenza di quello qui impugnato e dei tre che lo hanno preceduto, obbligavano le regioni ad adeguarsi alla totalita' delle loro disposizioni, fa si' che atti costituzionalmente illegittimi - quali quelli adottati in esecuzione dei precedenti decreti legge invasivi della competenza regionale garantita dall'art. 117 - vengano ritenuti validi ed efficaci, senza che la regione possa porvi rimendio, ripristinando l'ordine naturale delle competenze.